lunedì 4 novembre 2013

L'enogastronomia umbra: un po' di storia

La regione Umbria è stata, da sempre, “riserva alimentare” della vicina Roma. Forniva infatti carni salate, armi di ferro, pellicce. L’economia umbra era dunque agricola, tecnicamente avanzata e riserva alimentare della capitale dell’Impero Romano.

Le invasioni barbariche, così come accadde altrove, distrussero l'economia agraria della regione. L'Umbria era terra di passaggio per le orde che dal nord si dirigevano verso Roma, saccheggiando, distruggendo e razziando quanto trovavano lungo la strada.



Questa divisione politico-militare rimarcò ulteriormente le divisioni agricole ed alimentari della regione:

i barbari longobardi, popolazioni nomadi che non praticavano l'agricoltura, avevano un'alimentazione basata soprattutto sulla carne, come gli Umbri all'inizio della loro invasione italica. Le popolazioni da essi sottomesse, invece, come ai tempi dei Romani, si alimentavano prevalentemente con i cereali e i legumi, spesso sfarinati e cotti tipo polenta; le zone "romano-bizantine", invece, avevano un'alimentazione più elaborata e completa, basata su cereali, carne, ortalizie, ecc. In particolare la cucina si distingueva per l'uso di alcuni ingredienti "orientaleggianti", come le mandorle, non usate invece nelle zone longobarde. I dolci a base di mandorle ancora oggi sono tipici della cucina perugina, ma sono molto più rari nell'Umbria del sud-est. Dove al contrario resistono abitudini dolciarie quasi tedesche (di chiara derivazione longobarda), come la rocciata (chiamata a Spoleto " 'Ntorta", perchè storta, curva), che rassomiglia in modo straordinario allo strudel.

La predilezione per animali di tipo semi selvatico come i maiali selvatici,  i piccioni ed i colombacci sono una delle caratteristiche della cultura culinaria dell'Umbria del sud-est. Mentre al contrario l'Umbria papalino-bizantina, aveva in grande considerazione la produzione di vino e di olio. Orvieto, con i suoi bianchi, si fregiava di servire i vini alla mensa papale.

La fine della dominazione longobarda e l'entrata dell'intera regione nell'orbita papale ha appena scalfito le differenze culinarie delle due aree, le quali sono ben visibili ancora oggi e lo erano ancor più pochi decenni fa. Durante i secoli grande attenzione è stata data dal papato alle colture dell'olivo, con editti specifici e addirittura sovvenzionamenti statali per la sostituzione dei mandorleti, ad esempio, con gli oliveti, specialmente nella zona di Foligno-Spoleto nel XVII secolo. Pene gravissime, inoltre, erano applicate a chi tagliava olivi o estirpava viti. Importantissime le opere di bonifica agraria realizzare dallo Stato Pontificio nella vallata, al fine di liberare le terre dalle acque stagnanti ancora presenti in diversi luoghi.

Il dominio papale ebbe anche una importante funzione unificatrice sociale e culturale:  le festività religiose organizzarono la vita degli abitanti dell'Umbria ed anche, conseguentemente, il calendario della loro alimentazione: l'agnello per Pasqua, le vigilie di magro, l'arrosto per le feste, i bolliti per il Natale, ecc. Si diede inoltre molta importanza alla coltivazione dell'olivo ed all'uso alimentare dell'olio di oliva, cosa che per esempio i Romani non facevano, usando l'olio prevalentemente per scopi medici e cosmetici.

Ed è proprio questo "calendario culinario", applicato con ritualità, disciplina e costanza fino a pochi decenni fa, che noi vorremmo qui descrivere. Esso ha caratterizzato la vita di questa vallata per secoli e la stessa attività produttiva era organizzata a tal fine: occorreva allevare l'agnello perchè serviva per il giorno di Pasqua; occorreva avere gli attrezzi per la pesca, e bisognava saperli usare, al fine di procurarsi il pesce per i giorni di vigilia dai numerosi fiumi che solcavano la valle, ecc.

Nonostante ciò, già a distanza di pochi chilometri si potevano rilevare differenze alimentari e tradizioni leggermente diverse, frutto sia della differente storia, sia della geografia che permetteva economie agricole, di caccia e raccolta piuttosto diverse. L'interazione tra ambiente e cultura, com'è ovvio, era fortissimo: un popolo cacciatore e guerriero, come i Longobardi (che per di più viveva in zone montuose e boscose, ricche di selvaggina), privilegiavano banchetti a base di cacciagione (cinghiali, lepri, fagiani, o ... trote!) e solo successivamente introdussero altri alimenti. I pastoni, o le brodaglie, a base di leguminose o cereali, tipici della plebe, non erano molto apprezzati dalla classe dominatrice germanica. Questo modo di mangiare ("I signori mangiano la carne, ed i poveri la polenta e le zuppe di legumi") sanciva sì una divisione di classe (non era facile procurarsi la carne), ma anche una divisione culturale riguardo l'alimentazione.

Al contrario, dove le colline si facevano meno aspre, l'economia privilegiava maggiormente l'allevamento e la coltivazione dei campi; l'attività agricola distruggeva spesso le boscaglie rendendo più difficile la presenza di animali selvatici di grossa taglia da cacciare. Allora si ricorreva alla caccia dei piccoli uccelli di passaggio, con reti cosparse di vischio, o trappole di varia natura.  Il colombaccio era una delle prede più grandi che si potessero catturare. Ed è diventato uno dei piatti più ambiti ed importanti della regione, che si offriva agli ospiti di riguardo. Quando non c'era, lo si sostituiva con i piccioni allevati in casa.
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